Il mese scorso non vi ho detto che un altro motivo per cui amo luglio è che, da quando sono sposata, è il mese che associo alle vacanze: da svariati anni ormai è il mese delle ferie, delle due settimane solo per noi.
Per noi le vacanze (mi piace di più di ferie) sono un modo per ricaricarsi, per stare in mezzo alla natura, per disintossicarsi da pc, smartphone, pensieri chiusi...
Abbiamo sempre fatto viaggi meravigliosi, visitato luoghi baciati dalla bellezza di una natura commovente, conosciuto persone di tutto il mondo stupende, tutte con storie straordinarie da raccontare e soprattutto con la voglia di condividere la bellezza che non ci appartiene, ma di cui siamo solo ospiti: la Terra.
Ecco, quest’anno che strano lo è assai, siamo orfani di questa linfa.
Per svariati motivi il nostro bottino di viaggio non lo abbiamo potuto aggiungere a quello degli anni precedenti.
L’anno un po’ (…) strano in cui ci troviamo ha sparpagliato le carte, tenendoci ben ancorati (e la scelta di questa parola non è involontaria) a casa.
E’ solo un rimandare, per cui non è nulla di irrimediabile ma non vi nego che ci ha lasciato spaesati per parecchi giorni.
E in una delle meditazioni quotidiane che faccio ne ho capito il vero motivo: l’aspettativa.
Sì, non nego che l’assenza del mare, del fare immersioni, del parlare lingue diverse (per me poi che ho studiato lingue è un divertimento aggiuntivo tutti gli anni: ormai riesco a dire frasi sensate in indonesiano e ci provo in olandese ma dobbiamo ancora lavorarci su!), dicevo non nego che sia triste.
E non nego che non avere un traguardo vicino di break faccia sentire un po’ asfissiati, senza fiato.
Ma la vera ragione è l’aspettativa.
Sono ormai anni che le nostre ferie sono programmate in questo mese, settimana più , settimana meno.
Sappiamo che passeremo il mese di agosto a casa, al caldo, quando la maggior parte dei nostri amici è a godersi il giusto riposo ma noi siamo carichi, energici; siamo ancora nella fase degli occhi, orecchie, naso (e anche bocca grazie ai buoni mangerini!) pieni di quello che abbiamo vissuto.
Invece quest’anno ci siamo trovati in un mese incredibilmente lungo, soprattutto quando non hai prospettive di tirare il fiato, con giornate intense e senza avere chiaro quando potremo dedicarci del tempo di qualità.
E qui emerge l’altro punto focale: perché aspettare sempre qualcosa di meglio per alleggerirci, stare meglio, essere rilassati, ricaricarsi?
Perché non darsi come obiettivo il ritagliarsi del tempo di qualità ogni giorno, ovunque?
Perché a casa ci sentiamo sempre in dovere di fare e non di essere?
Beh, le risposte si possono sprecare: perché è la vita frenetica di tutti i giorni che ci porta a fare, perché gli altri si aspettano che io faccia, perché se non ho le giuste condizioni non riesco nemmeno a mettermici…
Tutte risposte (scuse) che mi ripeto anche io. Fino al punto di rottura.
Sì, proprio rottura: arriva quel giorno in cui sono a terra, senza energia nemmeno per essere scoraggiata e allora mi inizio a guardare intorno.
E scopro ad esempio che a luglio le giornate sono lunghissime, con una luce calda (noi che andiamo spesso in Oriente è un privilegio che in questo mese non ci godiamo mai visto che lì le giornate in questo mese finiscono prima); mi accorgo che la mia città è una scoperta ogni giorno: trovo angoli di verde, pezzi artistici, scorci che o scivolavo via senza vedere o non conoscevo (e dire che abito qui dalla nascita!); sento le cicale, mentre lavoro, in un silenzio che si fa sempre più spazio nelle pieghe di chi lascia per qualche giorno la città.
E allora penso che valga la pena rialzarsi, darsi una scrollatina e iniziare a camminare, con i piedi ben aderenti al suolo: tutti i sensi all’erta per scoprire quello che la mia roccia, casa, mi regala e a cui normalmente non faccio caso.
E quando lasci andare le aspettative, arrivano sempre sorprese gradite.
Belive me.